La signora Realtà - I AM CALCIO ITALIA

La signora Realtà

Stadio Silvio Piola
Stadio Silvio Piola
NovaraSerie C Girone A

Il padre dello stoicismo - corrente filosofica che meriterebbe un editoriale a parte - Lucio Anneo Seneca disse: “Se vogliamo essere giudici imparziali in ogni circostanza cominciamo col persuaderci che nessuno di noi è senza colpa”. Il ricordo dell’ultima partita giocata dal Novara FC lascia ancora disgustati e arrabbiati molti tifosi. È vero, è stato brutto. La squadra azzurra ha regalato occasioni agli avversari in campo con un’imbarazzante facilità quasi come se la devozione per la piazza non seguisse più l’irruenza ma una placida centratura. Sembravano sazi e con la pancia piena ma - come già detto nell’articolo precedente - lo schieramento e la preparazione del match meriterebbero dei chiarimenti tecnici, imputabili come causa dello sfacelo, come disequilibrio in campo.                          

No. Non basta solo il voler vincere. Al di là dei luoghi comuni il volere non è quasi mai potere se non quando possiamo toccare con mano tutte le situazioni ideali. La credenza del will power non è vera. Certo, può essere utile alla forza del pensiero e al raggiungimento di un obiettivo ma se la realtà dei fatti ci apparecchia sulla tavola altro, i miracoli non si fanno.

Nel momento in cui si è di fronte ad una situazione spiacevole ti si accendono in testa un sacco di voci che cercano di dare la colpa al bersaglio più facile, così i calciatori diventano pungiball della disfatta. Si annienta a priori l’analisi obiettiva e lucida di quello che effettivamente è successo nella partita finale - al di là del risultato in sé - ci si dimentica, addirittura, il nostro percorso: un posto in classifica sicuro e per nulla spiacevole, le nuove dirigenze, i cambi di soci, i cambi di presidenza, le disgrazie, le trasformazioni superate e digerite, un calciomercato deficitario, la tragedia di un ultrà, i pettegolezzi, gli infortuni, le squalifiche, l’esonero e la perdita di certezze a 4 giornate dalla fine della regular season. Quando le cose vanno male è sempre colpa degli altri (o della sfiga) non per caso ma perché semantica e chimica non sono opinioni, come ci insegna uno dei massimi esperti di intelligenza linguistica Paolo Borzacchiello. La modalità di trovare il colpevole si chiama Self Serving Bias ed è un potente cocktail dagli effetti collaterali enormi. Il cervello umano cerca sempre la coerenza, l’identità e l’appartenenza. Quando un’informazione nuova mette in crisi una convinzione radicata, il nostro sistema cerebrale la interpreta come una minaccia esistenziale, la nostra aspettativa si ribalta e le persone si ritrovano senza la certezza del proprio pensiero che hanno costantemente conservato e alimentato. E allora succede il paradosso: costretti a rinnegare ciò che per loro era certezza iniziano una politica di attacchi furibondi alla squadra, all’allenatore, al Direttore, al Presidente e persino a Bertoncini per una frase detta sotto la curva (Va beh, è andata così), nel momento in cui i tifosi lo benedivano con il cianuro insieme ai suoi compagni. Una guerra dichiarata a chi indossa il colore azzurro, ladri dei pensieri felici, chissenefrega se in 10 mesi hanno sempre cercato di ripulire il campo dalle macchie dirigenziali lasciate lungo questa stagione sprovveduta.                                                                                                    

A fianco a questo, la signora realtà si rivela, cinica come sempre: 6 gol subiti valgono comunque 0 punti, Tesser ha più culo che anima e se non avessimo avuto 2 punti di penalizzazione (per questioni burocratiche delle quali non si poteva certo occupare l’ignobile Bertoncini) saremmo ai play-off. Punto. Tutto ciò che è successo prima, durante e dopo si chiama calcio. Il calcio, proprio come la vita, è fatto di storie e le storie piantano sempre un seme nei nostri pensieri, possono essere dirompenti, possono motivarci o spingerci a cambiare opinione, possono farci credere che tutto sia possibile fino a buttarci per terra e ricominciare. Quando però guardiamo solo l’ultimo episodio, seppur amaro - ma direttamente proporzionale all’arroganza con cui è stato gestito l’ultimo mese - allora non si ha nessuna volontà di crescere, solo voglia di denigrare. Siamo nell’era della polarizzazione estrema dove o sei con qualcuno o contro qualcuno, dove il concetto di dissenso costruttivo è ormai confuso con l’idea di libertà di espressione. Si capisce la rabbia, non l’accanimento. Si capiscono addirittura le definizione colorite urlate degli ultrà, si capiscono meno quelli che della comunicazione fanno il loro mestiere, quelli che dovrebbero saper scegliere le parole da utilizzare poiché responsabili di decidere il momento in cui abbassare le difese pubbliche per permettere alla corteccia prefrontale del cervello di ognuno di decidere di ricominciare ad avere fiducia negli azzurri, per fare quello che dovremmo fare tutti: migliorarci. 

Scegliere di definire i giocatori vergognosi ed ingrati ma soprattutto continuare a farlo anche dopo una settimana - quando la rabbia dovrebbe fare posto a qualcosa di costruttivo - dice più su chi lo ha detto che sugli offesi. Un vaffanculo sarebbe stato più indicato, è ibrido, impersonale e rispetta soprattutto le vere situazioni tragiche. Vergognosa e ingrata, secondo i miei personalissimi schemi mentali, è stata la Lega che non ha saputo gestire una situazione dolorosa che ha colpito improvvisamente la squadra del Lecce, con la scomparsa improvvisa del fisioterapista Graziano Fiorita mentre in altre situazioni è sembrata molto più ragionevole, forse perché maggiormente mediatiche. Questo è dolore, questa è ingratitudine.

Tornando al Novara, un presidente davanti a un microfono, ad esempio, avrebbe potuto dare la forza di mollare gli ormeggi del rancore e salire sulla zattera del “ricominciamo di nuovo”. Un padre che protegge il figlio, almeno una volta. La signora realtà ci dice anche un’altra cosa: non puoi controllare tutto. O gestisci o subisciSubire è facile, basta non fare nulla e lasciare che le cose accadano, accogliendo il pensiero già fatto di altre persone. Gestire vuol dire scegliere. Richiede impegno, studio e coraggio di far cose diverse e di circondarsi di persone diverse, che ti facciano vedere le cose in maniera diversa. 

Costa, ma ne vale la pena.

Alice Previtali

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