Se non posso farlo un’altra volta - I AM CALCIO ITALIA

Se non posso farlo un’altra volta

Tramonto al Silvio Piola
Tramonto al Silvio Piola
NovaraSerie C Girone A

La fine della stagione calcistica è sempre uno scrigno di emozioni. Rappresenta quel momento in cui ci si guarda intorno. Swippare sulle varie pagine web per farsi travolgere dalle emozioni provate dalle altre squadre, oltre che dalla nostra.

C’è chi sale in B, chi festeggia la salvezza in Promozione, chi si rammarica di essere dentro al girone infernale dei play-out di qualsiasi categoria si tratti, chi saluta la società di quest’anno che ha già dichiarato la cessione a qualcun altro, chi non molla perché i play-off potrebbero sorprendere. Ci sono allenatori storici che lasceranno il mondo del calcio e quelli invece che vorrebbero iniziare sempre dal pallone ma con un ruolo nuovo. Ci sono i calciatori infortunati, che sembrano sempre sereni ma che il male che provano - soprattutto quello non fisico - non te lo diranno mai. Quelli che splendono ma che dentro hanno un buco nero che racconteranno solo a chi sa un pochino ricucirglielo, quelli che escono da un anno negativo, quelli che pensano di essere i migliori, quelli sotto l’ala protettrice di santi o di pseudo mercenari.

Dilettanti e Lega Pro provano sentimenti che cancellano la linea divisoria che li ha sempre contraddistinti ma il mondo del calcio, soprattutto a fine stagione, è uno solo. È proprio questo il momento uguale per tutti: ognuno dei protagonisti, dalla Prima Categoria alla Serie A, fa i conti con se stesso. Un vortice assoluto di battiti, un momento malinconico, felicità delle vacanze in arrivo, cene con i compagni ed un pensiero ancora sbiadito su quale possa essere il futuro. Ammettere ciò che si vorrebbe. Scegliere. Cambiare. Restare. Contrattare.

Se i più superficiali si fanno travolgere staticamente dagli eventi, i più profondi cercano di capire dove sia la felicità, se nella promessa di un contratto biennale, nel colore della maglia indossato fino ad ora o se in lidi a cui si è sempre pensato di volere arrivare, di voler provare a stare. Sacrificare la carriera per la famiglia o procedere finché ce n’è, che chi ti ama lo capisce che cosa significhi per te giocare a calcio. Sacrificare se stessi per ciò che gli altri vorrebbero fossi? Un pensiero che farebbe più feriti che campioni. Non c’è mai logica nei pensieri martellanti di fine campionato, le condanne e le celebrazioni hanno lo stesso peso e lo stesso frastuono. Non conta che tu giochi nel campo degradato di un paesino o su un terreno sintetico verde speranza dalla spesa smodata, la stanchezza fisica di fine campionato non è così potente come la paranoia del se non posso farlo un’altra volta.

E non mi basta mai. Mai.

Alice Previtali

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