Infedeltà calcistica - I AM CALCIO ITALIA

Infedeltà calcistica

Novara style
Novara style
NovaraSerie C Girone A

È un mantra sociale: con un certo colore calcistico nel sangue si nasce. È un assioma familiare dal quale non si può trascendere. È orgoglio misto ad obbligo, pura necessità. Evidenza e solennità. Tuo papà, nonno o zio specialmente se con prole di sesso maschile, cercherà in tutti i modi di trasmettere l’amore per una squadra (e l’odio per l’altra) come fosse l’orgoglio del cognome che porta, come se nascere in una città determini automaticamente la promessa sportiva di occupare il seggiolino di un solo stadio, come il “Silvio Piola” ad esempio. Qualche tempo fa l’identitá calcistica portava fertilizzante per aumentare l’unione tra il gruppo cittadino che oltre che in piazza, fuori da scuola o a messa, si ritrovava allo stadio. Già, lo stadio. Mastodontico edificio in cui ci si può levare la cravatta dell’ufficio e diventare l’animale sociale che in settimana addomestichiamo e ci imponiamo di non cibare, ululati che vengono ricacciati dentro dall’immagine di serietà necessaria per essere lavorativamente stimati e - ancora - armonicamente sposati.

Abbiamo però insegnato, quantomeno alle generazioni precedenti, l’arte dell’arrangiarsi: sei caduto rialzati, sei sporco lavati, hai fame cucina, vuoi la moto lavora. Abbiamo creato quell’indipendenza - anche grazie ai vostri devi studiare” - che spesso vi trovate a maledire proprio perché la giovane e baldanzosa prole ha il coraggio di ribellarsi ai vostri voleri, ai vostri gusti e soprattutto alle vostre fedi. Succede così, come una “tragedia” improvvisa, che il figlio di un romanista tifi Lazio, il nipote di un milanista Inter e le nuove generazioni novaresi la nemica di risaie. Magari solo perché la compagna di scuola, quella tanto carina, ci abita, magari perché c’è chi - come me - convive con la costante adolescenziale ribellione nel sangue: a prescindere dal contenuto se è un obbligo non lo si fa, almeno non ora e soprattutto non quando me lo dici tu. Bisognerebbe puntare alla conquista e invece si pensa solo alla - confutabilissima - ovvietà. Devi per forza tifare la squadra del nonno, per la bandiera, tifare la squadra della città anche se poi per la città sei un abbonato qualunque.           

Innamorarsi di una squadra è tutta nata storia. Innamorarsi di una squadra trapassa il certificato di nascita, è l’insieme dell’armonia che i singoli calciatori creano, che la società diffonde, a collidere il tuo cuore tanto da sentire la voglia di seguire quella compagine invece che un’altra. Nell’idea del tifo come gruppo sanguigno, il calciatore sembra un burattino in balia della piazza, sostituibile da chiunque, incapace di rimanere dentro il cuore dei tifosi. Per chi non nasce novarese o tifoso del Novara invece o t’invaghisci oppure palpiti per altro: si inizia ad ammirare il talento di un nome scritto dietro la maglia per poi continuare a promettere amore per la scritta davanti, per la piazza, per i colori, per quella bandiera che ora sventoli anche tu. Se vogliamo conquistare e non accontentarci di “matrimoni combinati” che durano il tempo di una partita, dovremmo tornare ad attaccare i poster dei calciatori nell’armadio, dando il valore individuale, piuttosto che solo alla città spesso caotica, disorganizzata e glaciale, qualsiasi essa sia. Ripartiamo dalle persone, piuttosto. Bisognerebbe ridare le armi a chi la palla la sa calciare e non pensare che tanto rotolerebbe comunque. Con il potere di conquista i seggiolini potrebbero essere riempiti da chi ha occhi non offuscati da un amore ormai passato che continua ad essere utilizzato come metro di giudizio, chi piange lacrime per ex che non torneranno mai.

Conta solo la maglia per chi quella maglia ce l’ha nel cassetto da generazioni ma chi decide di comprarla dichiara qualcosa che nel suo piccolo è etereo e meraviglioso, molto più delle tradizioni, qualcosa di più fragile e ballerino proprio perché lontano dall’ovvio e che nasce dalla pancia, fino ad arrivare al cuoreQualcosa di profondo quanto le tradizioni ancestrali.

E mentre i papà guardano la maglia stinta di personaggi passati, la mamma è pronta ad insegnare l’unica vera regola sociale e calcistica: gli ex non vengono rimpianti, mai. E vicino a voi che rammentate l’indimenticabile Rigoni, mia figlia vorrebbe la maglia firmata da Donadio. Eh no, uno non vale l’altro. Non per Linda e nemmeno per chi sceglie.

Alice Previtali

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