Che faccio, lascio?

Non trovo modo più romantico di definire il calciomercato se non come il momento in cui si è in coda dal salumiere. Scelgo, decido, acquisto. Quello che deve risultare un potenziamento, in questo caso del girone di ritorno del Campionato, per rimpolpare la sostanza della squadra interessata, altro non assomiglia che ad una compravendita di merce al mercato del paese, dove si sente il vociare dei titolari dei pegni fare a gara a chi fa più cagnara.
Il valore intrinseco del talento di ogni singolo giocatore viene immediatamente sminuito da calcoli, soldi e conteggi: gli algoritmi - di facile fruizione visto che reperibili online anche da siti piuttosto seri - sono spesso il motivo portante delle decisioni di transizione, sempre più rari i direttori che selezionano perché hanno percepito con i propri sensi, visto con i propri occhi, constatato con le proprie potenzialità. Saldi, svincoli e scambi. Tutto è possibile, concesso e interscambiabile.
Un mercato in cui si va a guardare con avidità come da Primark i vestiti durante i saldi o a cercare la meglio a Porta Portese in capitale, sperando di precedere tutti. Si cerca di valutare la lucidità dell’occhio del pesce, si va a staccare la foglia dell’ananas per vedere se è matura, si bussa all’anguria per sentire la polpa rispondere e tutto ciò che è stato prima ci importa solo se inserito nel pedigree individuale. Le intenzioni, le emozioni e gli stati d’animo dei calciatori trasferiti e trasferenti non fanno parte del bagaglio decisionale, non c’è l’importanza di capire empaticamente che effetti farebbero all’interno della promessa squadra o delle conseguenze che la squadra che lascia avrebbe con la sua assenza. Non importa del cambio di leadership, di allenatore, di città, non importa la frustrazione di stare lontano dalla famiglia, non importa della carica emotiva di ognuno. Ci sono gli accordi, i contratti, gli investimenti, questo è il gioco e lo è da sempre.
Ma tutto ciò che è stato prima, non è garanzia del fatto che ci sia ancora visto il cambio di garanzie e circostanze: un calciatore può essere caratterialmente disegnato come un Labrador ma dimostrarsi un Pitbull, presentarsi come il corretto Del Piero ma poi risultare permaloso e attaccabrighe come Ibrahimovic, bello e promettente come Simone Rossetti ma poi in campo goffo e ingombrante nei tentativi di finalizzazione. Al contrario, sminuire la Serie D a priori e non considerarla come “fiera di eventuali promesse” avrebbe potuto farci perdere, ad esempio, un prezioso Christian Donadio. E visto che il rinforzo maggiore per quanto riguarda il potenziamento del Novara FC bisognerebbe porlo nella finalizzazione di reti, nella Serie D del Girone A i nomi dei marcatori con più gol effettuati ad oggi sono questi: Diego Vita del Vado Ligure con 17 gol, con 13 Mattia Mencagli del Derthona, parimenti con 12 gol Luca Miracoli del Ligorna e Modou Diop dell’Asti e con 11 reti al Vado ritroviamo anche Vincenzo Alfiero, classe 1993, ex punta centrale del Novara FC che nella stagione 2021-2022 contribuì all’ascesa in Serie C. La dimostrazione che l’età è un dettaglio (ma questo lo potevamo dedurre anche guardando la nostra squadra) ed il confine tra “quelli di Lega Pro” e la “plebe” non è così invalicabile da permetterci di sentirci dei lord.
Ma intanto chi si allena? Quelli che hanno deciso di stare e che ci stanno pure bene, quelli che continuano a vedere l’obiettivo chiaramente e trascendono le entrate e le uscite di calciomercato, quelli che hanno un contratto e uno stipendio. Gli altri, invece, che stanno nel limbo o che sperano di finire in lidi migliori, iniziano a volersi risparmiare in campo ed in allenamento o a farci vedere di che pasta sono fatti, a dimostrazione che fino ad ora ci hanno preso anche piuttosto in giro a non dimostrarlo. Oppure è successo un miracolo.
La sensazione, insomma, è quella del salumiere che mentre affetta un etto in più di crudo di Parma si gira a guardarci con aria sarcastica e ci chiede: "Che faccio, lascio?”.
Lascia, che a cedere siamo ancora in tempo.