Portate i bambini allo stadio - I AM CALCIO ITALIA

Portate i bambini allo stadio

L’entrata in campo al Piola
L’entrata in campo al Piola
NovaraSerie C Girone A

Le prime volte sono momenti dotati di un carico emotivo particolare. La prima volta allo stadio ognuno la ricorda. La prima volta allo stadio di un bambino rimane nel cuore in maniera così forte da volerla spesso rivivere, indipendentemente dal tifo o dalla passione per il pallone. Mia figlia è entrata allo stadio “Silvio Piola” per la prima volta a 6 anni, se lo ricorda bene e non solo perché era il giorno della grande festa della promozione in Serie C del Novara FC ma perché quell’enorme edificio è stato così carico di emotività che tutt’ora, spesso, mi accompagna ancora. I miei alunni, grazie al progetto di “Fair Play” hanno potuto godersi lo scontro contro il Lumezzane, per molti la prima volta allo stadio di Lega Pro; da quel giorno diventai “la maestra del Novara” e di quell’esperienza -così come della visita dei giocatori azzurri in classe- ne parlano quasi ogni giorno.

Sono ancora troppo pochi quelli che considerano la passione per uno sport -non necessariamente il calcio- non come un metodo educativo ma solo un vizio, troppo pochi quelli che non fanno caso alla facilità con cui l’educazione sportiva, anche senza per forza praticarla, abbia un impatto maggiore rispetto a tante parole e regole sociali, imposte spesso in maniera sbagliata. Ci si lamenta, inoltre, che le incombenze e la tecnologia stanno prendendo il sopravvento sulla vita di ognuno, che si seguono dettami di libertà esagerata tanto da non esserci più un’educativa autorevole, da sfuggire di mano al binario che i bambini dovrebbero seguire almeno fin quando le loro ali non siano abbastanza salde da resistere agli urti e la loro testa abbastanza coraggiosa da non demordere al primo fallimento. Si dice tanto che a crescere servono le emozioni ma nel momento in cui escono dai nostri limiti visivi e di gestione tendiamo a chiedere aiuto, rendendo addirittura “cliniche” alcune situazioni che sono semplicemente vere e necessarie per crescere, per conoscersi, per calibrarsi. Siamo bravi a firmare progetti scolastici e sottolineare il benessere nel praticare e guardare sport di vario genere ma più per emulazione che per un vero credo.

Uscire dalla settimana tipo e concedersi un momento sportivo da passare con i propri figli o nipoti (o alunni) metterebbe fine, almeno per una volta, ai doveri a cui dobbiamo badare ed aumenterebbe il benessere complessivo, anche relazionale. Portare i bambini allo stadio e non solo quelli amanti del calcio è un’esperienza che invito davvero a fare, per il bene di tutti, soprattutto  di noi adulti. La condivisione del momento vissuto, anche se si va a vedere una squadra non necessariamente blasonata ma per la quale si nutre qualche simpatia o quella più vicino alla nostra città, dovrebbe essere un dovere come fare i compiti scolastici al pomeriggio, a differenza che quel tipo di esperienza e il con chi l’ha vissuta un bambino non se la dimenticherà mai. Già l’avere di fronte a sé lo stadio, questo gigantesco edificio da cui escono suoni e colori, in cui entrano persone con sciarpe e cappelli tutti dello stesso tono, lascia con il fiato sospeso. Una volta dentro, le cose da raccontare agli amichetti sono innumerevoli: un campo enorme, lo speaker che nomina uno ad uno i calciatori, la musica altissima, i tifosi che esultano per un gol e le coreografie della curva anche fossero solo un pugno di persone. E sentire le parolacce, quel brivido di ribellione evolutivo, quanto fa sentire grandi, quanto fa sentire fighi. Quante cose si imparano poi. A stare seduti ad esempio, a decifrare ciò che succede senza che il telecronista te lo dica, a vedere con i propri occhi, a chiedere se non si comprende. 

A coprirsi d’inverno e gestire il caldo d’estate perché non sono le temperature che possono fermare il momento, quel momento a meno che non ci sia vento che quello fa ammalare sul serio e allora si deve stare a casa, parola di mamma.

Alice Previtali

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